L'extravergine non è tutto uguale



Eppure è uno dei prodotti più antichi del mondo. Ma allora, perché non si capisce? Perché si banalizza così tanto?

Perché c’è troppa confusione e il consumatore non comprende affatto le proprietà salutistiche e benefiche dell’olio. E’ tutto extravergine, uguale. C’è chi sostiene addirittura di dover modificare la categoria in “super extravergine” per differenziare l’olio di bassa qualità con quello di alta qualità. Si, perché è vero, pur essendo tutti extravergini la qualità cambia, e anche tanto. E’ sostanziale. Non basta leggere extravergine sulla bottiglia per dire che quel prodotto è di qualità e fa bene alla salute, tutto dipende dalla composizione chimica dell’olio e dal contenuto in composti fenolici bioattivi. 

La classe commerciale quindi ci dice poco, bisognerebbe indicare in etichetta almeno il tenore in acido oleico (che deve essere alto, almeno 70%) e la concentrazione in composti fenolici (biofenoli e α-tocoferolo). A differenza del vino – per esempio – l’olio extravergine non si è evoluto, il consumatore non è consapevole di ciò che acquista e non è consapevole che l’extravergine di alta qualità rappresenta un vero e proprio investimento per la propria salute. Perciò davanti allo scaffale – ovviamente – si sceglie l’extravergine che costa di meno. E’ un problema culturale e di mancanza di informazione e formazione, tanti - per esempio - attribuiscono l’amaro ed il piccante ad un difetto dell'olio e non ad un pregio, perché non sanno che c’è una stretta correlazione fra le caratteristiche di qualità prima citate e le note di amaro e piccante.

Avete soluzioni?

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