Quando l'agricoltura di un certo posto muore

Ho molti amici che “campano” di agricoltura nel territorio del Matese. Campano appunto, non vivono di agricoltura, come dovrebbero. Non si può certo discutere sul paesaggio di questo luogo - delle maestose cime fra cui il monte Miletto, la Gallinola, il Mutria e il monte Janara - ma della sua morte si, vi piaccia o meno è questo quello che penso, vi piaccia o meno è questa la cruda e nuda verità. 

Le principali risorse degli abitanti del Matese erano l'agricoltura, la pastorizia, l'industria del bosco e le attività artigianali, che costituivano la base dell'economia locale che oggi purtroppo (ahinoi) sta scomparendo. Hanno sfamato famiglie numerose fino a pochi anni fa, basando la loro economia sull'agricoltura e sull'allevamento; hanno costruito anche innovazione pur venendo da cultura di analfabetismo, povertà e ignoranza; hanno lavorato - spaccandosi la schiena - i campi che grazie alle favorevoli caratteristiche climatiche offrivano ottime e interessanti coltivazioni di leguminose (fagioli) e graminacee (segale, orzo, grano). Anch'esse scomparse.

Dove sono i pastori?
La pastorizia è stata la base dell'economia locale, nei secoli i pastori hanno trasferito interi greggi verso le pianure pugliesi; era la transumanza, un autentico viaggio fra culture e leggende, attraverso tratturi che ancora oggi - seppure completamente abbandonati - si possono trovare intatti a ricordare i viaggi di uomini e animali. Qui, sul Matese, i pastori non sono più in viaggio. La transumanza verso le pianure pugliesi è solo il racconto di qualche nonno che l'ha praticata e che con felice nostalgia la trasferisce ai nipoti per non dimenticare, come segno indelebile del tempo. Sia il ridotto numero delle greggi che l’avvento immediato della società moderna hanno fatto nascere la transumanza verticale: tutti oggi possono usufruire dei pascoli locali e, quindi, i pochi allevatori rimasti - come i Sanniti, antica popolazione matesina - hanno iniziato ad insediarsi in collina in modo tale che all'avvicinarsi dell'inverno possono raggiungere rapidamente la pianura e, a primavera, possono raggiungere rapidamente anche la montagna e i pascoli. Già, il ridotto numero delle greggi, diecimila capi all'incirca fino a qualche decina di anni fa. Oggi se ne contano meno di quattromila.

Perché.
Perché amici allevatori mi dicono che non si riesce più a vivere con un allevamento sul Matese? Perché amici allevatori mi dicono che non si sentono tutelati da nessuno? Perché amici allevatori mi dicono che non riuscirebbero a sopravvivere senza aiuti economici pubblici? Chi, ha voluto tutto questo? È frutto di ignoranza, di incultura o di incapacità di gestire e capitanare l'agricoltura da parte di organizzazioni agricole, di tutela e di Enti che non sono stati capaci di valorizzare al meglio le peculiarità del territorio per dare alle imprese la forza propulsiva per sorreggersi e camminare da soli? Non ce l'ho con nessuno, sia chiaro, è solo che mi pongo la domanda di come mai l'agricoltura di un certo posto muoia. È come se tutti gli agricoltori fossero stati traditi da chi fino ad oggi ne ha curato gli interessi. Ecco perché non ci sono più pastori. Quello della pastorizia è un esempio calzante, che va applicato a tutta l'agricoltura matesina.

Agricoltura assistita
È forse il motivo più grande che mi lascia perplesso, quello che l'agricoltura sia assistita da varie forme di finanziamento e che mi fornisce indicazioni più o meno precise sul perché l'agricoltura del Matese sia morta insieme ai suoi straordinari prodotti lattiero-caseari e non solo. Non per il supporto economico - ci mancherebbe - ma perché purtroppo, senza assistenza economica le imprese chiuderebbero il giorno dopo. Le imprese, quasi tutte, non riuscirebbero a sopravvivere senza aiuti comunitari e questo - per me - è un netto segnale di fallimento. Non è normale. L'Europa ha nel grembo il nuovo PSR (piano di sviluppo rurale) e la nuova PAC (politica agricola comune), che dovrebbero rimettere le aziende nella condizione di vivere anche senza aiuti comunitari, metterle nelle condizioni di potersi innovare e porsi in maniera corretta per poter affrontare un mercato esigente come quello nazionale e internazionale. Le aziende zootecniche e l'agricoltura in genere sono ancora stazionarie, nelle condizioni di molti anni fa, non etichettano il proprio prodotto, non commercializzano, sono statiche, senza senso di cooperazione, non conoscono il mercato, spesso sono al limite dei requisiti minimi strutturali e di igiene, aziende vive: morte dentro.

Di chi è la colpa?
Certamente non tutta degli agricoltori o degli allevatori. Professionisti del settore non capaci di fare consulenza, strategie di crescita fallimentari proposte da Enti preposti, piani di sviluppo rurale falliti, organizzazioni di categoria completamente assenti... Chi doveva interessarsi concretamente del territorio, tutelare le piccole imprese e le loro tipicità, "conservare" personaggi storici e loro memorie, tutelare il bagaglio storico-culturale della nostra piccola e coincisa terra? Chi e perché non lo abbiamo fatto? Questa è la domanda da porci. Tutti, per capire quale risvolto e quale futuro potrà avere il Matese, se potrà orgogliosamente sperare di avere una risposta da chi sarebbe tenuto a darne e che per troppi anni non lo ha fatto. Lo dico in maniera positiva e soprattutto propositiva, senza polemica: però bisogna dare risposte concrete ai problemi dell'agricoltura del Matese. 

Qualità, territorio, lavoro e tradizione sono presenti ma eternamente congelati nel tempo e non si dimostrano - oggi - gli elementi vincenti in campo economico per l'agricoltura del Matese. Mancano innovazione e capacità di innovarsi.

La foto di apertura è di Mario L. Capobianco

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