Il destino del maiale

Gennaio portava con sé odore di fumo, fumo e aria fredda, di quel freddo, però, che ti entrava dentro i vestiti, su per le narici, tra le dita screpolate dal gelo. Eppure non aspettavi altro che poter arrivare il prima possibile, prima che tutto fosse finito, pur sapendo di dover trascorrere una giornata all’aperto.
Il vapore del pentolone pieno d'acqua messo sul fuoco sotto la "suppenna" sin dal primo mattino, si confondeva con la nebbia della campagna ed il calore che sprigionava cozzava con la brina che calpestavi avvicinandoti al luogo del "delitto". Era intorno all'Epifania che si consumava il sacro rito del maiale. O, per meglio dire, della morte del maiale.

“Come sarà il tempo il 3 di gennaio? E il 6? Ma forse meglio il 7? Eh deve fare freddo ma non deve piovere… e Zi’ Ntonio quando può venire ad ammazzarlo? No, il 5 no, è già impegnato dai vicini…” Erano questi i discorsi che si ascoltavano tra capodanno ed i primissimi giorni dell’anno appena nato; e tu eri lì a cercare di capire quale sarebbe stato il fatidico giorno. Uno sguardo attento al calendario, perché la luna doveva quella dell’ultima fase calante, qualche giorno di indecisione e poi, ecco, c’era la data ed era una gran festa. La nonna prelevava dalla cantina tutto l’occorrente riposto per bene l’anno prima: pentole di rame, cucchiaie di legno, matarca, taglieri, coltelli. Il nonno provvedeva ad affilare questi ultimi con la mola a mano che si trovava sotto le scale. E quel rumore di arrotino segnava l’inizio dei preparativi veri e propri. Poi c’era da fare la spesa: il sale per la carne, lo zucchero, il riso, il cacao ed i pinoli per i sanguinacci; l’odore dei semi di finocchietto selvatico raccolto dalla nonna durante la bella stagione si spandeva per la casa, pronto per essere utilizzato nella preparazione della salsiccia.

La mattina del giorno destinato la mamma ci svegliava presto e si partiva alla volta dell’aia. Non sempre assistevamo all’uccisione dell’animale che, di solito, avveniva molto presto malgrado il freddo pungente degli inverni di qualche decennio fa. Il più delle volte il maiale, al nostro arrivo, giaceva su di un tavolaccio in legno sorretto da due sgabelli accanto al pentolone d’acqua bollente. Biancastro, pulito, enorme. Nessuna traccia del fango che nel porcile si attaccava alle sue zampe durante tutto l’anno, del muso sporco di crusca e di acqua. Veniva privato dei peli con l’acqua bollente e poi sollevato da almeno quattro persone con gran fatica, legato per le zampe ad un asse di legno ed appeso a testa in giù. Il sangue veniva raccolto in una pentola e conservato per i sanguinacci. Del maiale non si buttava niente e, quindi, tutta la giornata era un susseguirsi di incombenti. Si tagliava la prima carne da friggere per il fugace pranzo perché se ne doveva testare la bontà, si pulivano le interiora, la testa veniva posta in cantina per essere lavorata in un secondo momento, si iniziava a togliere la cotenna e a separarla dal lardo che sarebbe diventato sugna.

Nel camino della cucina un gran pentolone ospitava il riso. Che attesa quella del riso! Noi bambini eravamo pronti con il piatto in mano fin dal primo bollore dell’acqua. Ne elemosinavamo un po’ per mangiarlo con lo zucchero prima che la nonna vi versasse il sangue, i pinoli e tanto, tanto cacao.
Nella matarca trovava posto la salamoia per i due prosciutti che sarebbero stati consumati non prima dei due anni, mentre l’incombenza della salsiccia si “spicciava” dopo un paio di giorni.
Tra il camino e la porta della cucina, il giorno prima, il nonno aveva già sistemato la “mazza” per appendervi la salsiccia, le pancette, le orecchie e raccolto il lauro per aromatizzare la carne e l’ambiente. Insomma, poche cose venivano terminate quello stesso giorno, per una intera settimana si lavorava con grande agitazione. Sembrava un film; due attori, un protagonista, tante comparse, varie scene. Oggi, che lo riguardo nel fondo della mia memoria, un film in bianco e nero, muto, silenzioso, come una pellicola di Charlie Chaplin. Ma gli odori, quelli no, li sento. Eccome se li sento!


di Giovanna Mastrati - tutti i diritti riservati

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