I turcinelli alla vigilia di Natale, con l’olio protagonista. Dal racconto di zio Gino

Chi mi conosce sa che mi piace ascoltare e conoscere la storia di chi mi ha preceduto, gli istanti vissuti da individui e personaggi di un’epoca che non mi appartiene più, purtroppo o per fortuna. E perciò in questo ventiquattro dicembre ho incontrato zio Gino che mi ha raccontato che questo era il giorno dei famosi “turcinelli” a Piedimonte, perché in attesa del cenone si faceva solo un piccolo pranzo proprio con questo fritto tradizionale. Io personalmente lo faccio ancora e per noi questo è sempre il giorno in cui si va dalle nonne a mangiarlo approfittando per scambiare una chiacchiera e accrescere l’atmosfera del Natale. Nonna Marcellina li fa con le alici e senza, nonna Carmelina rigorosamente senza alici. È una scelta, per carità, va rispettata.


Si iniziava a dicembre racconta zio Gino (siamo degli anni ’40) appena le piccole olive di Tonda del Matese iniziavano a cadere per terra e comunque in tempo per avere il primo olio a Natale. Si monitoravano gli uliveti, quasi tutti di montagna, e appena si iniziava a vedere qualche oliva fatta cadere per terra da un forte vento o per eccessiva maturazione si organizzavano gli operai per iniziare «a prima cota» (la prima raccolta) che era quella, appunto, per estrarre il primo olio e fare i turcinelli a Natale. C’era chi raccoglieva solo da terra e questo lavoro era affidato ai più giovani - come all’epoca io, dice zio Gino - ai quali non era consentito salire sulle maestose piante, per ovvie ragioni di sicurezza e tenuto anche conto che gli alberi erano molto alti. Per questo lavoro i giovani venivano pagati con mezzo litro d’olio ogni 40 chilogrammi di olive raccolte. Gli adulti invece raccoglievano dagli alberi, guadagnavano 1,5 litri di olio ogni 40 chili di olive, salivano fino in cima e con mazze e rastrelli buttavano giù i frutti che poi venivano raccolti rigorosamente da terra: si, perché le reti che usiamo oggi all’epoca non esistevano ma c’era la “bunetta”, una sacca cucita con il tessuto di un sacco di juta che si avvolgeva in vita nella quale si ponevano le olive man mano raccolte per poi versarle nel sacco più grande.

Un uomo cercò una soluzione per i suoi alberi che dimoravano a picco sulla valle dell’inferno e puntualmente perdeva una parte delle olive perché precipitavano nel vallone. Era un signore anziano di San Marcellino, località del centro storico di Piedimonte Matese, zio Gino non ricorda il nome ma ricorda di quest’uomo che appendeva al collo - come facevano i pastori - due ombrelli che poi impiantava nel terreno aperti al contrario in modo che le olive non cadessero a terra per rotolare nel burrone ma si fermassero nell’ombrello. Non solo, quest’uomo era anche “famoso” perché anticipava la raccolta per evitare che le olive cadessero da sole e si perdessero nella valle, le raccoglieva quasi verdi, un orrore per l’epoca, uno spreco!

Si iniziava più o meno il 2 dicembre perché poi si dovevano attendere i tempi tecnici che le olive “facevano la barba”: così chiamavano le muffe bianche che crescevano sui frutti ammassati. Ci volevano circa 20 giorni e così si arrivava alla vigilia di Natale con l’olio appena estratto con il quale si friggevano i turcinelli che erano semplicemente fatti con acqua, lievito, farina e olio. Poi qualcuno faceva delle aggiunte a piacere.






di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati

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