Una IGP per l'olio da olive deve partire dal basso

Sono reduce da un bell'incontro sull'olio da olive, a Cerreto Sannita, in provincia di Benevento, in occasione delle Domeniche dell’Olio. Ospite anche l’onorevole Irene Pivetti, presidente di Only Italia, autrice un bell'intervento. Ero presente per I Templari del Gusto. Noi da sempre facciamo cultura del territorio e dei prodotti. Ricordo con gioia la prima edizione del Buonolio Salus Festival, nell'anno 2014, quando lanciammo per primi con un bel convegno l’idea di una IGP per l’olio Campano, coinvolgendo diversi produttori che aderirono alla nostra iniziativa. Poi, evidentemente, qualcuno ha pensato diversamente e va bene lo stesso. Purché si faccia con serietà e professionalità. È necessario guardare in faccia la realtà se vogliamo una Indicazione Geografica per l’olio Campano (o Sannita), non si può prescindere dalla qualità del prodotto. Nel mio intervento sono partito dal titolo dell’incontro: “Olio sannita: dall'extravergine all’IGP”, ragionando soprattutto sulla necessità di uniformare tutto il prodotto, di farlo bene e di qualità. Sappiamo che non è così, un po’ per esigenza e un po’ per incultura di tutto il comparto. Ci sono delle cose da correggere? Facciamolo. Qualcuno ha osservato che stavo esponendo un quadro catastrofico, che andava bene trent’anni fa, ma in realtà stavo solo esponendo quello che è sotto gli occhi di tutti. Basta solo aprirli e osservare. È vero anche che trent’anni fa si parlava delle stesse cose ma è necessario comprendere che in trent’anni ahimè poco è cambiato. Qualcosa si, lo ammetto, ma se la Campania ha espresso un calo di produzione superiore al 60% qualche problema c’è, inutile negarlo.

Sarebbe utile invece prenderne atto, capire i problemi e risolverli. Quello che entra nelle case degli italiani oggi è un prodotto disuguale, non omogeneo ne somigliante a quello che dovrebbe essere. Fare un buon extravergine da olive non èdifficilissimo ma neppure semplice e spesso non tutti seguono almeno quei piccoli accorgimenti per ottenere un prodotto decente. Ci ritroviamo sempre a criticare gli oli di origine comunitaria o extracomunitaria (per carità, liberi di farlo con le dovute ragioni) ma senza mai guardare in casa nostra cosa succede. Ebbene spesso mi capita di assaggiare oli difettati del tutto privi di buoni odori, prodotti da olivicoltori, che arrivano sulle tavole di amici e famiglie come oli da olive biologici (che non hanno subito alcun trattamento), naturali e genuini. L’olivicoltore “medio” non si serve di alcuna consulenza tecnica, di un agronomo che gli consigli cosa fare nell'uliveto per produrre un olio di qualità e questa è una grave mancanza per un’opportunità di crescita professionale. In tutto questo c’è una forte contraddizione: perché l’olio da olive con evidenti difetti organolettici, messo in circolo dagli olivicoltori che del tutto in buona fede pensano sia buono, va a finire proprio sulle tavole dei tanti consumatori che inevitabilmente si abituano a quel “flavor”, lo memorizzano e pensano che l’autentico extravergine sia quello e non l’altro che è amaro e piccante e che magari profuma di erba o di carciofo piuttosto che di pomodoro. C’è poi chi fa un lavoro diverso, professionale, con cultura e formazione, che si presta alla cura degli alberi e alla coltivazione dei terreni con coscienza e consapevolezza. 

È l’olivicoltore “2.0”, che fa l’olio buono e lo comunica bene, che lavora con impegno alla qualità e crede che nell'olio da olive buono ci possa essere un futuro. E’ colui che fa promozione, che investe nel marketing, che si mette in gioco per migliorarsi sempre e che è partecipe di un potenziale cambiamento, della svolta finora incompiuta. E’ colui che non svende l’olio che ricava da quei frutti, perché la qualità ha un costo ed un valore molto grande che parte dal territorio, passa dal paesaggio, dalla terra, dalle voci degli uomini e delle donne, dalla famiglia, dal vento: per poi arrivare chiuso in un’elitaria bottiglia. Il valore dell’olio è invisibile, l’Ulivo è il più antico testimone del mondo e l’Italia ha sempre riconosciuto un grande valore a questo albero, tanto da diventare – il 5 maggio 1948 – simbolo di pace della Nazione nell'emblema della Repubblica italiana. Il territorio Campano esprime grandi oli, sia chiaro, a scanso di equivoci mi piace precisarlo, qualcosa evidentemente è stato fatto ma c’è ancora tanto da fare e quale occasione migliore dell’implementazione di una Indicazione Geografica Protetta. L’IGP deve partire da questo e l’augurio più vivo che mai è proprio quello che tutta la Regione, in futuro, produca più extravergine e meno vergine e lampante. Ho anche fatto presente del ventennale fallimento delle DOP olearie, che hanno conquistato solo l’1% del mercato e pochissime DOP sono presenti sugli scaffali. Sono dati che stanno sotto gli occhi di tutti e qualcuno era in disaccordo anche quando, rispondendo alla domanda del moderatore, ho chiarito le differenze tra la DOP e la IGP dicendo che nel caso dei prodotti DOP tutto ciò che concerne l’elaborazione e la commercializzazione del prodotto ha origine nel territorio dichiarato. Nel caso della IGP, il territorio dichiarato conferisce al prodotto le sue caratteristiche peculiari attraverso alcune fasi, ma non tutti i fattori che concorrono all’ottenimento del prodotto provengono dal territorio dichiarato. Così ho fatto l’esempio della  Bresaola della Valtellina che è ottenuta da carni di animali che non sono allevati in Valtellina, pur seguendo i metodi di produzione tradizionali e beneficiando,nel corso della stagionatura, del clima particolarmente favorevole del territorio. Tutto nella regola, lo prevede il disciplinare.

Comunque, tornando a noi, non è un percorso semplice ed è l’ultima possibilità rimasta, bisogna lavorare bene e con serietà e così sarà certamente. È necessario realizzare una IGP ascoltando le esigenze dei produttori, coinvolgendoli e prendendoli in forte considerazione, una IGP che parta dal basso, anche perché ci sono dati incoraggianti: circa il 70% dei consumatori europei pretende di conoscere l’origine geografica delle produzioni e del cibo che consuma. L’IGP è uno strumento innovativo, perché in primis darebbe la possibilità di avere disponibile e commercializzare un prodotto sempre di qualità (chimicamente e organoletticamente) anche in annate di scarica o mancata produzione come quella appena trascorsa. Ma ancora, aiuterebbe l’impresa a fare marketing ed affermarsi sul mercato e sfruttare finanziamenti mirati, messi in campo dalla Regione o dallo Stato. Non trascuriamo infine, l’immagine che questo marchio può portare al territorio campano ed in particolare ad alcune aree, in termini di turismo ed enogastronomia.

Questa è stata la mia relazione e colgo l’occasione per augurare, insieme a tutto il team de I Templari del Gusto, un buon lavoro al Comitato ed ai gruppi tecnici per la stesura del Disciplinare di Produzione.


di Vincenzo Nisio - tutti i diritti riservati

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